Quando Alexandre Dumas scriveva di Cervinara.

In un editoriale sul giornale Monte-Cristo del 1862
di Angelo Marchese – Ai più potrebbe sembrare una “fake” ma Alexandre Dumas, il famoso romanziere de “Il Conte di Montecristo“, “I tre moschettieri” e “La Regina Margot” (cito quelle più conosciute), aveva scritto su una delle sue riviste che dirigeva, la “Monte-Cristo” (l’altra era la “Le Mousquetaire“), e con le quali collaboravano personalità della cultura francese come la sua amica George Sand, nota scrittrice e drammaturga, e Gérard de Nerval, poeta, scrittore e figura di spicco del romanticismo letterario, di un accadimento che lo aveva colpito durante il brigantaggio che impazzava nel nostro Meridione.

Dopo una prima parte, che apre l’editoriale sul Monte-Christo, datato 23 settembre 1862, nel quale ripercorre alcuni fatti di cronaca che avevano come “protagonisti criminali” i briganti che rapivano a scopo di riscatto persone facoltose, Alexandre Dumas così scriveva a proposito di un fatto di cronaca cervinarese:
“Non vi ho ancora parlato, credo, del rapimento di un bambino di sette anni (ndr. Carlo di 11 anni), figlio del signor Mainolfi di Cervinara. Un piccolo contadino viene dal signor Mainolfi, che era con il figlio nelle sue scuderie e si offre di vendere al bambino un piccolo merlo per un grano. Riceve il grano, dà il merlo al figlio del signor Mainolfi e gli dice:
– “A venti passi da qui, conosco un bel nido; seguimi, te lo mostrerò.“
Il bambino lo segue; l’ignaro padre non lo trattiene. All’angolo di un vicolo, quattro uomini afferrano il bambino e lo portano sulla montagna. Il piccolo contadino scompare dalla sua parte. Il giorno successivo monsieur Mainolfi riceve una lettera dai briganti. In questa lettera gli chiedono due rivoltelle, un orologio, prosciutti, formaggi e duemila ducati d’oro. Se, nell’arco di otto giorni, questi vari oggetti, e soprattutto i duemila ducati d’oro (diecimila franchi), non fossero stati inviati, il signor Mainolfi avrebbe ricevuto il braccio del figlio.

Il signor Mainolfi non li aveva in casa e non poteva procurarsi in paese i duemila ducati d’oro. Doveva recarsi a Napoli per prenderli; ma temendo di essere derubato lungo la strada, chiese e ottenne una scorta militare che lo accompagnasse. Tre giorni fa ha cambiato i suoi soldi con l’oro presso il banchiere Vincenzo Russo, a San Giacomo, ed è partito per Cervinara, sempre accompagnato dalla sua scorta che controlla i soldi che darà ai banditi. Inoltre, un poscritto della lettera – ci sono sempre poscritti alle lettere di questi signori – annunciava al padre che non aveva nulla da temere che la permanenza del figlio sulla montagna interrompesse i suoi studi. Contemporaneamente a lui, avevano preso un prete, che gli faceva ripetere ogni giorno le sue lezioni. Dal giorno in cui il bambino è stato rapito, la madre è impazzita.”
Alexandre Dumas
Il fatto di cronaca riportato da Dumas si riferisce al rapimento di un bambino, di 11 anni però, Carlo Mainolfi che fu rapito il 7 luglio 1862 dalla banda Taddeo che “operava” per lo più, sui monti del Partenio. I componenti della banda, imputati successivamente per il rapimento del ragazzo e per altri crimini, erano Antonio del Mastro di Avella detto ‘o Zappatore, i cervinaresi Angelo Taddeo e Luigi Taddeo parenti del capo-banda Felice Taddeo e Pasquale Martone.
Così riporta “i fatti” Francesco Viola sul suo blog https://cervinaranelmondo.myblog.it/tag/francesco-viola/
Il giovane Angelo Taddeo quasi coetaneo di Carlo avrebbe convinto il piccolo Mainolfi a seguirlo presso la sua abitazione per fargli vedere degli uccelli che poi gli avrebbe regalato. Non appena furono presso via Mainolfi in Cervinara il piccolo Carlo si trovò di fronte circa 40 briganti. Il sequestro durò 25 giorni e furono chiesti 2300 ducati per il rilascio oltre la fornitura di biancheria, oro e vettovaglie. Il giovane Angelo e il padre Luigi furono rinchiusi nelle carceri di Ferrari adiacenti al Palazzo Marchesale in direzione del ponte. A quel tempo non si poteva dire di no ai briganti e non era facile vivere una vita onesta e serena.
Angelo Marchese